Viticoltura nelle Terre di Frattula

 

La vite nelle Marche è la coltura arborea principale ed è sempre stata coltivata in tutta la regione, in quanto la sua funzione è difficilmente sostituibile nei terreni collinari. Nella provincia di Ancona, si coltiva il Verdicchio, che rappresenta da tempo la migliore espressione enologica e commerciale marchigiana.

 

Ed è proprio il Verdicchio a caratterizzare prevalentemente la produzione viticola delle Terre di Frattula (Corinaldo, Castel Colonna, Monterado, Ripe e Senigallia). Esso si caratterizza per un grappolo generalmente lungo, conico, alato, di colore giallo-verdognolo; acini pressoché sferici; questo vitigno si esprime con una popolazione clonale ampia (oltre 25 cloni individuati). I vari cloni hanno caratteristiche diversificate e quindi si prestano a varie interpretazioni enologiche: Verdicchio Classico, Superiore, Riserva, Spumante e Passito. La manutenzione è medio-tardiva, ha buccia coriacea, polpa succulenta e sapore zuccherino assai marcato.

 

Per quanto riguarda le uve nere, di notevole valore è il Lacrima di Morro d’Alba. Viene prodotto in un ristretto territorio con al centro l’omonimo Comune (Morro d’Alba) e comprende anche il territorio senigalliese (e le Terre di Frattula). Il suo prodotto appartiene alle grandi famiglie dei vini marchigiani (DOC) dal 1985. Si tratta di un vitigno autoctono unico, molto antico, tanto che se ne parla fin dai tempi del Barbarossa. Il vino ha un aspetto di color rosso rubino, con sfumature violacee; il profumo è intenso ed il sapore è asciutto.

 

Altri vitigni, presenti nelle Terre di Frattula, che meritano la doverosa segnalazione sono per quelli a bacca nera il Montepulciano, il Sangiovese, il Cabernet e la Vernaccia. Mentre per i bianchi diffuso è il Malvasia, il Trebbiano e il Biancame.

 

Gran parte dei suoli sono di varia natura con prevalenza di substrati marnosi, argillosi, arenari e generalmente calcarei, che contribuiscono in misura non trascurabile alla qualità del prodotto. Non a caso la viticoltura rappresenta per queste zone una delle principali attività agricole e va acquistando sempre maggior rilievo nel mercato della qualità. Anche la fascia altimetrica è ideale e fin dalla antichità veniva utilizzata per il vigneto, che vi gode illuminazione e sommatorie termiche ottimali. Il clima del resto è favorevole, con un giusto grado di piovosità annuale, pur se i cambiamenti climatici ci hanno riservato alcune estati molto secche e calde negli ultimi 20 anni.

 

Si tratta, infatti, di una viticoltura tipicamente collinare, con vigneti generalmente disposti in filari che si sviluppano lungo le linee di massima pendenza, dove la ricerca e la tecnica, nei nuovi impianti, hanno introdotto metodi sempre più efficaci, per contrastare soprattutto l’erosione del suolo e il contenimento delle piante infestanti.

 

Per quanto riguarda le forme di allevamento del passato, erano predominanti le contro spalliere, spesso in forma di “capovolto bilaterale”, caratterizzate da potatura lunga a tralcio rinnovato, ma, negli ultimi decenni, si sono registrate importanti inversioni di tendenza: i nuovi impianti sono infatti indirizzati verso forme semplificate, in grado di ridurre i costi di gestione, con l’adozione di tecniche sempre più compatibili con l’ambiente e tese al conseguimento di prodotti di migliore qualità. Incontra interesse il guyot e il cordone speronato, i quali consentono delle economie nei tempi di potatura e di vendemmia, in quanto si prestano alle operazioni di meccanizzazione. Inoltre i nuovi vigneti hanno una maggiore fittezza d’impianto in modo da ridurre la produzione per pianta con evidente miglioramento qualitativo delle uve e dei relativi vini. Negli ultimi decenni c’è stato quindi un grande e intelligente sforzo di aggiornamento, per trasformare senza traumi una vitivinicoltura fino a ieri ancora strutturata secondo modelli in parte obsoleti, e per rendere più omogenei gli standard qualitativi.